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Tutti noi abbiamo avuto almeno una volta nella vita segnali di cedimento e stanchezza, del resto siamo esseri umani, se così non fosse ci sarebbe da preoccuparsi e non poco!
Tuttavia pochi sanno realmente riconoscere quando questi segnali sconfinano e vanno oltre il limite fisiologico del recupero classico, precipitando così nella trappola dell’ “over-training”.
Ma che cos’è l’over-training e come si manifesta?
Sui manuali di sport ma anche sul web circola una buona definizione di ciò che è questo mostro del superallenamento , infatti si legge che: l’overtraining altro non è che “una sindrome, cioè un insieme di segni e sintomi che compaiono nell’atleta che ha esagerato con le sedute di allenamento, sia in termini qualitativi che quantitativi, non associati ad adeguati periodi di recupero”.
Scritta così la cosa sembra facile sia da definire che risolvere ma non è sempre così semplice e scontata come sembra.
Non basta ridurre il carico di allenamento per rientrare entro parametri normali di salute, occorre anche lavorare sulle dipendenze psicologiche che lo sport attiva all’interno del singolo atleta.
La sindrome da superallenamento, infatti, è difficile da autodiagnosticare, in quanto, l’atleta, non sempre fa del suo corpo uno strumento di ascolto, egli è più portato a pensare in effetti che un dolore muscolare persistente sia dovuto ai carichi degli allenamenti precedenti e non al fatto che la sua mente sta mandando dei chiari messaggi di saturazione all’organismo e che, per tanto, occorre riposarsi e rigenerarsi per qualche tempo.
L’overtraining dunque, non è soltanto l’anticamera di infortuni o di recidive degli stessi ma è altresì un vero e proprio malessere che coinvolge anche l’area affettiva e relazionale della persona.
Il disagio principale a livello emotivo, coinvolge sopratutto la sfera dell’umore: si diventa fortemente irritabili, ci si arrabbia con amici e familiari in modo parossistico e senza freni, inquinando così anche le relazioni intime con gli altri, si è poco concentrati sul lavoro o nello studio, si vive la dimensione del tempo in maniera ristretta, quasi come se lo stesso non bastasse più per lo svolgimento delle proprie attività, si percepiscono gli allenamenti come una necessità e li si eseguono in modo violento quasi come a divorarli, non si ricava più piacere dalle proprie prestazioni sportive e non e si accusa di tutta questa turbolenza emotiva, fattori come lo stress legati alla vita lavorativa o familiare.
Lo sport, in questi casi, non viene proprio annoverato come una delle principali con-cause di disagio.
Questo perchè?
Perchè in fondo fare sport, per uno sportivo, rappresenta una modalità alternativa per mettersi in gioco, in esso l’essere umano convoglia tutte le sue idee di grandezza taciute e sottaciute, esso è, per i più, una valvola di riscatto, di confronto e di sfida in cui i meccanismi di onnipotenza ugualmente presenti in tutti gli esseri umani, trovano un valido sfogo nella competitività che porta spesso a prestazioni capaci di accrescere il proprio senso di autostima.
Ecco perchè è difficile da riconoscere il fenomeno del superallenamento: per un atleta, infatti, è indispensabile fare ciò che fa, altrimenti ne verrebbe meno il suo senso di efficacia.
Per tanto, più egli cerca di migliorarsi in modo deliberato e poco costruttivo, più si carica di allenamenti, più sfida la propria onnipotenza, più corre il rischio di cadere nel baratro dell’overtraining con l’unico risultato di ottenere prestazioni ben al di sotto di quelle attese e sperate.
Ed in questo gioco al massacro, chi vince paradossalmente è la sconfitta perchè più ci si sente frustrati, più si attivano energie nella direzione della miglior performance, più si fallisce perchè stanchi mentalmente e fisicamente.
Come si “guarisce” da tutto ciò?
Sicuramente godendosi un buon periodo di riposo e contemporaneamente lavorando su se stessi, ovvero su quel senso di sè che porta alla fine ogni essere umano a scegliere di fare ciò che fa.
Solo attraverso una buona dose di consapevolezza ed autoconsapevolezza e di definizione dei propri limiti, si possono ottenere prestazioni gratificanti e durature nel tempo.
Definire un limite, non significa per forza doverlo superare (con il rischio di incorrere nell’insidioso overtraining), significa, invece, riconoscere dove finisco io e dare il meglio che posso, in quel dato momento.
Dott.ssa Consuelo Viviana Ferragina
psicologa/psicoterapeuta e
psicologa dello sport
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