Maratone e altro — 29 settembre 2010

Talvolta quelli che corrono sentono il bisogno di svagarsi senza pensare a PB, record del percorso, capuffici da battere, dolori alle ginocchia, dolori alle gambe, dolori al polpaccio, dolori ai piedi, dolori all’addome, tempi di passaggio previsti, tempi di passaggio dell’anno prima, tempi di passaggio reali che non tornano mai, garmin che sballa le misurazioni, misurazioni che sballano il garmin, rifornimenti personalizzati dispersi, rifornimenti generici mancanti, cibi solidi quando servono liquidi, liquidi quando servono solidi, vento contro, pioggia, caldo, umidità, salite, salitelle e cavalcavia, ed infine… nell’ordine d’arrivo non ci sei! Hanno sbagliato e si scusano, ma intanto non ci sei.
Trovare un posto dove tutte queste letizie della corsa siano completamente assenti è un sogno ed una illusione, ma chi viene a Capraia trova qualcosa che si avvicina molto.
Prendete una corsa dove il risultato finale non entra in nessuna statistica, dove il tempo non si può confrontare con nessun altro, dove se arrivi cento è come se fossi arrivato dieci, dove la fatica non manca, anzi è tanta, ma… si riuscisse una volta fare la salita senza essere accompagnati da battute e sfottò!
Aggiungete che i rifornimenti assomigliano più ad una trattoria aggratis che non chiude mai: orario continuato per otto ore!


Le famose Ottore di Capraia, appunto.


I festanti quest’anno supereranno come al solito il numero massimo dei 150 concorrenti ammessi, ma niente paura, ci sarà posto anche per gli altri, quelli che pensassero di arrivare bel belli sabato mattina e trovare ancora un pettorale! Ma a casa non manderemo nessuno.
Alle 10 la partenza: 50 metri in piana, ma sui pietroni toscani, poi svolta a sinistra e su, verso la Rocca, per una stradina stretta, maligna e spettacolare, che vale da sola una passeggiata anche se podisti non siete. Oltre 150 scalini vi portano in cima, poi la deliziosa bontà degli organizzatori vi regala un giro di ben un chilometro quasi in piana, in mezzo alla campagna toscana che più toscana non si può. Solo che poi bisogna tornare giù, nella piazzetta in riva all’Arno, che scorre intorno alla rocca, semi-indifferrente. Ma qualcuno giura di averlo visto mentre scuoteva il capo, sconsolato.
Discesa, dunque. Questa si, che è davvero maligna. La pendenza è vertiginosa, le curve strette ed improvvise, il fondo seminato di scalini nascosti dietro la curva. Se poi piove, rischiate di tamponare il podista davanti a voi, che ha fatto lo sprint per starvi davanti in salita e all’improvviso si blocca in mezzo di strada… oddio, strada, si fa per dire! Se lo tamponate arrivate in fondo rotolando tutti e due, sennò avrete il privilegio di rotolare da solo.
Finalmente arriva l’ora di pranzo e qui le signore di Capraia si esprimono al meglio di sé stesse. S’ode il fatidico grido: “b… c’è le paste!” Il percorso si svuota come d’incanto, salvo qualcuno che è venuto per la prima volta, ma che capisce subito la situazione. Buone, le paste!
Ma i dolci sono ancora meglio! Belli riforniti, i podisti riprendono a girare. I cronisti invece prendono la via del riposino canonico, poco però, perchè bisognerà raccontarvi l’arrivo!


Questa è la Ottore. Ci vediamo.


 

Autore: Franco Anichini

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