Curiosita — 28 novembre 2009

Roma, 27 nov. (Apcom) – Da uomo più veloce del mondo a detenuto addetto a ramazzare le foglie nel cortile del carcere dove è finito per la sua condanna peggiore, quella di un anno e mezzo fa dovuta allo spaccio di cento grammi di eroina. In un’intervista ottenuta dal quotidiano britannico The Times, Tim Montgomery ha raccontato il suo declino a sette anni dal 9″78 corso a Parigi, il tempo valso il record dei 100 metri ed una breve parentesi tra i simboli dello sport mondiale. “Ho distrutto me stesso”, ha detto Montgomery, “per tutta la vita ho cercato di essere un uomo ed ora sono qui, trattato come un ragazzino”. Nel parlatorio della prigione di una cittadina dell’Alabama che porta il suo nome, Montgomery, l’ex sprinter statunitense è finito dopo avere cambiato numerosi penitenziari. Un vero e proprio viaggio nella violenza, secondo il racconto di Montgomery, il cui declino iniziò con lo scandalo doping legato al famigerato laboratorio californiano Balco. “In quei posti c’era chi aveva dei coltelli rudimentali e sembrava che ogni giorno ci fosse un accoltellato. Mettevano l’olio per bambini nell’acqua”, ha detto l’ex asso della velocità. “lo passavano nel forno a microonde e poi lo versavano su qualcuno. In una prigione probabilmente ho visto 35 risse e sono stato coinvolto in una rivolta. Pensavano fossi il leader, ci fecero inginocchiare contro il muro per 90 minuti e una delle guardie mi conficcò due volte lo scudo nella schiena, mi fece una specie di elettroshock gridandomi che ero io il capo di quel braccio”. Montgomery ha raccontato che in un carcere di New York si sentì costretto a picchiare un uomo condannato per pedofilia, con il quale condivideva la cella: “Era contro la mia morale, credo che tutti meritino una seconda possibilità“, ha detto, “ma se non lo avessi fatto gli altri detenuti avrebbero pensato che non ero un duro”. Poi il racconto dell’inizio del suo incubo, un meccanismo infernale avviato dal doping e dall’odio per il suo grande rivale. Montgomery ha spiegato al Times di avere iniziato ad utilizzare sostanze illecite perché spinto dall’invidia nei confronti dello sprinter statunitense Maurice Greene, ex primatista dei 100 metri. “Quando facevo uso di doping pensavo di oltrepassare un certo limite? No, perché venivo dalla strada. Non avevo ripensamenti – ha detto Montgomery – e non pensavo di barare. Si trattava di essere un passo avanti rispetto al sistema e se ne avevo una possibilità, la sfruttavo”. Poi il riferimento alla sua ex compagna, l’ex regina dell’atletica Marion Jones, finita in carcere dopo essersi dichiarata colpevole di avere mentito ad un gran giurì federale incaricato di indagare sul caso Balco: “Se io sono un tipo freddo, Marion lo è di più. A lei non importava davvero nulla”. Parlando di Greene, Montgomery ha tracciato i contorni di una vera e propria ossessione: “Mi era davvero entrato in testa”, ha spiegato l’ex sprinter, “volevo tutto quello che aveva lui. Gli organizzatori dei meeting e le marche di scarpe mi dicevano che se non battevo gente come Greene o Ato Boldon non mi avrebbero mai pagato quanto loro”. La decisione di iniziare le pratiche dopanti arrivò dopo i Mondiali di Siviglia del 1999, sotto la spinta di un’invidia per Greene mista agli atteggiamenti del suo rivale: “Il modo in cui si prendeva gioco degli altri atleti era imbarazzante. Le nostre gare non si basavano sul cronometro, era una questione personale. Decisi di vendermi l’anima, avrei dato tutto per essere il più veloce del mondo e non avrei lasciato che nessuno si mettesse tra me ed il mio obiettivo”.


fonte: virgilio.it

Autore: redazione

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