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Ognuno di noi prima o poi, deve fare i conti con i cambiamenti, parlo di quelli profondi che in qualche modo minano l’idea che ci siamo costruiti di noi stessi nel tempo.
Ovviamente chi ha una personalità flessibile ed armonica, riesce più di altri ad accettare l’impossibilità di poter continuare al meglio in un’attività sportiva o di doverla sospendere a fronte invece di chi ha coltivato negli anni l’immagine di un Sè decisamente poco incline al cambiamento e per tanto rigida nei suoi schemi precostituiti.
Che significa essere flessibili ed armonici? E cosa invece indichiamo con il loro contrario?
Una persona che è aperta al cambiamento, sviluppa nel corso della sua vita, la possibilità di pensare alle infinite definizioni che potrà dare di se stessa nei contesti che attraverserà. Questo le comporterà un minor carico di dolore nel doversi scoprire ad un certo punto, non più abile come prima nell’esecuzione di un compito o nell’efficienza di una prova.
Chi invece non è incline al cambiamento, prima di tutto avrà schemi rigidi di pensiero e non ammetterà facilmente (in alcuni casi patologici direi mai) il riconoscimento di un calo prestazionale in una delle aree di suo interesse vitale.
Aiutare queste persone non è facile, perchè chi sperimenta rigidità, di per sè non accetta le infinite possibilità del suo divenire altro da ciò che attualmente è, in questi casi il cambiamento viene vissuto e percepito come una minaccia, un insulto al proprio IO.
Persone che vivono con questo disagio, difficilmente accettano di invecchiare o di ridurre i carichi fisici non più adatti alla loro età o condizione, difficilmente accettano di essere sostituiti dai più giovani o di diminuire il proprio carico lavorativo.
Quando poi tutto questo avviene dopo un’onorata carriera agonistica, il danno psicologico è ancora più importante: accettare di non essere “più come prima” comporta un’immediata revisione degli schemi esistenziali inerenti il proprio sè, chi non riesce a produrre un simile cambio di prospettiva è destinato a vivere in una difficile frustrazione che da una parte lo porta a provare e riprovare ancora e dall’altra a ventilare (ma solamente pensandola) la prospettiva di un abbandono definitivo.
In questo bivio, la persona tende a sperimentare una dolorosa sofferenza che nasce principalmente dal non riconoscersi per come si è pensata per tutti gli anni della sua vita, è come se ad un certo punto guardandosi allo specchio vedesse riflessa un’immagine sconosciuta e per tanto minacciosa.
Purtroppo il concetto di “eterna giovinezza” è vero solo in ambito letterario, nella vita di tutti i giorni ognuno di noi fa i conti con il proprio personale “invecchiare”.
Una spinta negativa nella serena accettazione della vecchiaia, è data oggi giorno dagli status symbol in cui la nostra cultura è immersa: partendo dalle pubblicità e finendo ai social, non c’è luogo che non professi la bellezza e l’eternità come emblemi del buon vivere.
Ciò che invecchia fa paura, sembra sia di cattivo gusto perchè guasta le nostre copertine, le nostre immagini, contagia il nostro io eternamente e falsamente giovane, per tanto ciò che invecchia va allontanato.
Aiutare le persone a riconoscersi nel loro valore di essere umani, significa anche aiutarli a capire che si è eterni solo nel pensiero e non nelle opere.
Chi in fondo è soddisfatto di se stesso e di ciò che ha fatto, chi si fa bastare le sue gesta piccole o grandi che siano state, quella sarà una persona che invecchierà sorridendo e dalla quale si potrà apprendere il senso della vittoria, chi invece, a tutti i costi, vuole essere sempre uguale a se stesso senza pagare il dazio dell’inevitabile cambiamento alla vita, andrà pure avanti (per un poco) ma agli altri avrà da insegnare solo il senso della sconfitta.
Il bivio se fermarsi o accettarsi per come si è, arrivati ad un certo punto della vita, è sacrosanto ed in ambito sportivo potrebbe veramente fare la differenza tra l’essere felici o l’essere eternamente insoddisfatti.
Dott. Consuelo Viviana Ferragina
psicologo-psicoterapeuta e
psicologa dello sport
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